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Nella sentenza numero 7486 del 09 settembre 2024, il Consiglio di Stato, facendo seguito a numerosi precedenti giurisprudenziali specifici (Cons. Stato, sentenze numero 714, 1708 e 7680/ 2023), ha ribadito il principio secondo il quale la presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione ma solo sull’efficacia della stessa. Conseguenza diretta di tale impostazione, riferibile, ad avviso del Collegio, anche alle istanze presentate ai sensi dell’articolo 23 ter del d.P.R. 380/01, nella versione attualmente vigente e modificata dalla Legge Salva Casa, è che al privato è concessa la facoltà di depositare, anche in corso di causa, un’istanza di sanatoria del cambio di destinazione d’uso, effettuato in precedenza, invocando la nuova normativa.
Ciò risulta possibile perché una simile richiesta appare del tutto ininfluente rispetto alle sorti del giudizio in essere, sulla base della seguente, duplice, osservazione:
- se il procedimento innanzi al giudice amministrativo, volto ad impugnare l’atto contenente l’ordine di demolizione dei locali abusivamente trasformati da deposito ad unità abitativa, si conclude negativamente, l’intimazione di ripristino dello stato dei luoghi è destinata a rimanere priva di efficacia, ad avviso del Consiglio di Stato, “sino alla pronuncia del Comune sulla nuova domanda, la quale, se favorevole per il privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento”;
- in caso contrario, ovvero di pronuncia del Comune con esito negativo per il privato/autore dell’abuso, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino originariamente impugnata.
Legge Salva Casa e sanatoria: la vicenda processuale
Con ricorso ritualmente notificato, il proprietario di due unità immobiliari ubicate nel Comune di Napoli, ha impugnato, innanzi al Consiglio Stato, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Quarta, numero 3792/2022.
In particolare, l’amministrazione resistente aveva ingiunto all’interessato il ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione delle opere da quest’ultimo abusivamente realizzate, qualificate come ristrutturazione edilizia e consistenti nella “trasformazione d’uso di locale deposito (categoria catastale C/2) in unità abitativa (categoria catastale A/3) costituita da due vani – cucina – corridoio – wc e ripostiglio”.
L’istanza per l’accertamento di conformità
Proposta, dall’interessato, l’istanza per l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, per il cambio di destinazione d’uso da deposito a residenza dei locali al piano rialzato, il Comune ha respinto la domanda, ritenendo assorbente la circostanza per la quale, sebbene l’area nella quale erano state realizzate le opere ricadesse nella “zona A – insediamenti di interesse storico”, mancava il necessario parere della Soprintendenza.
Assumeva, inoltre, l’ufficio tecnico del Comune di Napoli, con apposita determina dirigenziale di diniego, che gli interventi non potessero in ogni caso essere assentiti, neppure con accertamento di conformità, in quanto effettuati nella zona rossa vesuviana, all’interno della quale non mai è consentito il cambio di destinazione d’uso ai fini residenziali, perché integrante aumento del carico antropico.
Impugnato innanzi al Tar Campania il provvedimento di diniego, il giudice di primo grado, con la sentenza citata (la numero 3792/2022), ha accolto integralmente le difese della pubblica amministrazione.
L’appello e la sanatoria secondo la Legge Salva Casa
La sentenza è stata, così, appellata innanzi al Consiglio di Stato. Dopo la produzione di documenti e scritti difensivi (tra i quali, anche l’intervenuto parere favorevole con prescrizioni, da parte della Soprintendenza, per l’accertamento di compatibilità paesaggistica del cambio di destinazione d’uso con opere) la causa è stata regolarmente trattenuta in decisione.
Tuttavia (ed è questa l’elemento di particolare interesse), prima dell’udienza, la parte soccombente in primo grado ha dimostrato di aver presentato istanza di sanatoria del cambio di destinazione, da deposito a residenza, in base al decreto legge numero 69 del 2024 (all’epoca non ancora convertito con modificazioni dalla legge numero 105 del 2024).
Le valutazioni del Consiglio di Stato
Quest’ultima circostanza è stata esaminata dal Collegio in via preliminare ed ha portato all’emanazione del principio di diritto evidenziato in apertura di commento, per effetto del quale:
- sebbene alla parte debba essere riconosciuta, nei casi simili a quello oggetto d’indagine, la possibilità d’invocare la nuova disciplina contenuta nel Salva Casa, in tema di sanatoria di cambio di destinazione d’uso, da locale deposito a residenziale, detta istanza non può condizionare in alcun modo, ad avviso del Consiglio di Stato, la decisione finale e l’esito stesso del giudizio, posto che essa ha funzionalmente ad oggetto non la legittimità dell’ordine di demolizione eventualmente impugnato, ma solo l’efficacia dell’intimazione di ripristino dello stato dei luoghi.
Pertanto, incardinato il giudizio e presentata l’istanza ai sensi del vigente articolo 23 te d.P.R. 380/01, si possono verificare due casi:
- se il Comune accoglie l’istanza, si determina un evento sopravvenuto tale da rendere legittimo l’intervento effettuato;
- in caso contrario, riprende l’efficacia (sospesa) dell’intimazione di demolizione e ripristino, pur impugnata nel merito.
La decisione del caso concreto
Fatta questa preliminare premessa, il Collegio ha deciso la causa secondo il regime del Testo Unico dell’edilizia, previgente alle modifiche introdotte dalla Legge numero 105/2024, che disciplina in maniera ben più rigida il mutamento di destinazione.
Nello specifico, per il Consiglio di Stato, vi sono almeno tre elementi che non consentono di accogliere le istanze dell’appellante:
- il fatto che l’immobile per il quale è stato chiesto l’accertamento di conformità fosse già soggetto al vincolo nel momento in cui l’istanza è stata presentata ne precludeva di per sé l’accoglimento per mancanza del requisito della doppia conformità, senza che potesse avere alcun rilievo il sopravvenuto parere favorevole della Soprintendenza, il quale attiene unicamente agli aspetti di compatibilità paesaggistica e non certamente a quelli edilizi e urbanistici;
- parimenti irrilevante è la circostanza sostenuta dall’istante, secondo la quale il diniego di accertamento in sanatoria fosse illegittimo in quanto non preceduto dal preavviso di diniego, posto che tale comunicazione è stata ritualmente inviata a mezzo PEC al domicilio digitale eletto dalla parte presso il proprio tecnico di fiducia, cui la stessa aveva affidato il compito di trasmettere tutti gli atti e comunicazioni inerenti la pratica di sanatoria;
- l’ingiunzione di demolizione e rispristino dei luoghi era atto vincolato – e dovuto – da parte del Comune resistente, atteso che le opere realizzate integravano gli estremi della ristrutturazione edilizia (con cambio di destinazione d’uso, da deposito e residenziale, di un immobile ricadente in zona A), necessitante di permesso di costruire, in quanto implicante – anche – notevole incremento di carico urbanistico.
Ricorso respinto, pertanto, confermata la decisione del TAR Campania ma spese di lite compensate, alla luce della complessità e della parziale novità della materia trattata.
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