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Gestione centri di accoglienza per migranti, 40 condanne della Corte di conti in Calabria: c’è anche Mimmo Lucano #adessonews

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La sezione di Catanzaro della Corte dei Conti ha condannato 40 soggetti, tra persone fisiche e società cooperative, a risarcire la Presidenza del Consiglio dei ministri per un danno erariale di 4,2 milioni euro e relativo alla gestione dei centri di accoglienza dei migranti nella Regione Calabria, nell’ambito dell’emergenza Nord Africa per il periodo che va da aprile 2011 e dicembre 2012.

Al centro degli approfondimenti ci sono presunte irregolarità nell’affidamento di servizi per l’accoglienza a operatori esterni, un passaggio che era obbligato viste le difficoltà in cui versavano e versano i piccoli Comuni calabresi ai quali le prefetture e la Protezione civile chiedevano di gestire i migranti nel momento dell’emergenza sbarchi sapendo che gli enti locali non avevano le risorse umane e amministrative per farlo. Da qui l’obbligo di esternalizzare l’affidamento dei servizi che, però, secondo la Corte dei conti sarebbe avvenuto a cifre troppo elevate rispetto a quelle decise da precedenti delibere di giunta.

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Al centro dell’indagine contabile c’è Salvatore Mazzeo, ai tempi dirigente del settore Protezione civile della Regione Calabria, nominato soggetto attuatore, cioè delegato alla gestione dell’emergenza profughi. Ma ci sono anche i sindaci (e diversi assessori) di alcuni comuni come Acquaformosa, Caulonia e Riace. Tra i condannati dalla Corte dei Conti, infatti, c’è anche il sindaco di Riace ed europarlamentare di Avs Mimmo Lucano che, per questa vicenda, assieme agli altri amministratori locali era stato indagato dalla Procura di Catanzaro che poi ha archiviato l’indagine escludendo comportamenti penalmente rilevanti.

A far scattare l’istruttoria della Corte dei Conti era stata una segnalazione di danno della Guardia di finanza di Paola che stava indagando su un centro di accoglienza di Amantea dove aveva riscontrato “una indebita erogazione di fondi a soggetti non legittimati”.

Allargando l’inchiesta, secondo le fiamme gialle “vi erano state diverse irregolarità nella gestione delle convenzioni tra soggetto attuatore e contraenti”. Da qui la Procura regionale della Corte dei conti “desumeva che l’emergenza migranti nella Regione Calabria era stata oggetto di un accordo illecito tra Mazzeo e i rappresentanti dei soggetti privati o pubblici che (senza effettuare una gara anche informale e senza avere i requisiti e garantire le prestazioni stabilite nei provvedimenti emergenziali) avevano ottenuto l’affidamento del servizio di assistenza”. Per quanto riguarda Lucano, però, la Corte dei Conti ha escluso un “previo accordo criminoso” tra il sindaco di Riace e Mazzeo. Non c’è nessuna “prova di una intesa truffaldina – si legge nella sentenza – peraltro già esclusa dal giudice penale con l’archiviazione.

“Invero,- scrivono sempre i giudici contabili – risulta riscontrato in atti che il Lucano ed il Comune di Riace vennero contattati direttamente dalla Protezione civile per ospitare i migranti, non per personali rapporti o accordi con il Mazzeo, ma in quanto facevano già parte del sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) per l’ospitalità di profughi, secondo direttive provenienti dal Centro”. Tuttavia, per la Corte dei Conti, è “ben possibile configurare “un dolo”. L’iter seguito dalla Protezione Civile e dal Comune di Riace per dare risposta all’emergenza sarebbe stato “dannoso per l’Erario”, frutto cioè di “grave negligenza”.

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Pur non essendo imputabili a Lucano “tutte le eventuali illegittimità”, il sindaco di Riace è stato condannato a causa del “concorso di colpa del soggetto danneggiato (la Protezione civile appunto, ndr) che da un lato, aveva emesso ordinanze presidenziali e indicazioni operative in contrasto tra loro ed oscure, e dall’altro non aveva in alcun modo provveduto alla vigilanza sul sistema evitando eventuali illegittimità”.

La Corte dei Conti ha stabilito che Lucano dovrà risarcire, in solido con il dirigente regionale Mazzeo e altri soggetti, 531mila euro alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Per vicende di 13 anni fa e che sarebbero state prescritte se i giudici avessero considerato, come richiesto dalle difese, il momento iniziale di decorrenza della prescrizione “la data della commissione dei fatti” o “della delibera della Sezione del controllo depositata il 19 luglio 2012” e non “la data in cui era pervenuta la trasmissione della segnalazione di danno della Guardia di Finanza”. Eccezione che, dagli avvocati dei 40 condannati, sarà riproposta nel ricorso in Cassazione.



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