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Per raggiungere l’obiettivo gli specialisti della Difesa, tramite il 3° reparto genio dell’aeronautica, hanno derogato a qualunque tipo di norma sugli appalti pubblici. Scorciatoie per regalare al Giorgia Meloni i due centri di detenzione per migranti in Albania: l’hotspot di Shengjin e la struttura di trattenimento e rimpatrio di Gjader, eretta su un ex base militare. Un capriccio costato carissimo, venduto all’opinione pubblica come necessario per contrastare l’immigrazione clandestina.

Un enorme esborso pubblico oltreché pericoloso per il rispetto dei diritti umani. Denaro finito ad aziende perlopiù sconosciute, albanesi che hanno lavorato nel subappalto del subappalto. Di una, invece, conosciamo l’identità, perché è direttamente affidataria di una fornitura: si tratta di un’ impresa con sede nei pressi di Tirana, nota in patria per godere di buoni rapporti con la politica, incluso il partito del premier Edi Rama.

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Anche a questa, scelta senza gara in deroga al codice degli appalti, sono andati alcuni milioni per “opere edili ed agli impianti ordinari”, hanno spiegato dalla Difesa. Questa giungla di affidamenti in deroga, svelata da Domani con i dettagli dei costi, ha suscitato molte preoccupazioni persino all’interno della stessa Difesa: qualcuno teme che la Corte dei Conti possa verificare la legittimità delle spese. E si è trasformato in un caso politico, con l’opposizione sul piede di guerra.

Alleanza Verdi e Sinistra con il deputato Angelo Bonelli, presenteranno un’interrogazione parlamentare dopo lo scoop di Domani. Anche la segretaria del Partito democratico Elly Schlein promette battaglia sulle rivelazioni pubblicate da questo giornale: «Apprendiamo dalla stampa che il governo vuole accelerare al punto che si sono fatti degli affidamenti diretti milionari e senza trasparenza. Siamo contro questa violazione dei diritti fondamentali di chi chiede asilo, che è anche un enorme spreco di soldi dei contribuenti italiani».

Ed è pronta un’altra interrogazione firmata dai capogruppo di Camera e Senato del Pd, Chiara Braga e Francesco Boccia: «Come emerso da inchieste giornalistiche e atti parlamentari appalti per un valore di circa 60 milioni di euro sono stati assegnati dal Ministero della Difesa tramite Segredifesa in deroga alle norme vigenti sugli appalti, sollevando dubbi sulla trasparenza e sulla legalità dell’intero processo…Chiediamo dunque al Governo massima trasparenza nella pubblicazione dei dati sugli appalti e sulle ditte coinvolte».

Con il protocollo firmato da Meloni e il premier Rama, l’esecutivo ha scaricato ogni incombenza sul ministero della Difesa, delegandogli la realizzazione: con lo scopo di evitare una serie di prassi obbligatorie per il rispetto del codice degli appalti. In pratica, equiparando i Cpr (albanesi e non) a basi militari, missilistiche o arsenali, il governo ha aperto la strada a mille deroghe del codice.

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Nella determina con cui la Difesa aveva affidato al Genio dell’aeronautica la costruzione delle opere albanesi era prevista la possibilità di affidare a fornitori esterni la possibilità di eseguire lavorazioni secondarie. La formula usata nella determina, però, sembrava limitata solo a una piccola parte di lavori soggetti a tali deroghe. In realtà, come ha scoperto Domani, è stato fatto un uso massiccio, pressoché totale, di affidamenti diretti senza gara.

Dai contratti letti da questo giornale emerge una spesa di oltre 60 milioni andati a numerosi fornitori esterni senza uno straccio di gara. «Il ricorso all’affidamento diretto si è reso necessario per i tempi ristretti…qualsiasi tipo di affidamento tramite gara sarebbe stato incompatibile con le tempistiche», è la replica della Difesa alle nostre domande. L’ammissione, dunque, che il codice degli appalti è solo un orpello fastidioso.

Di fronte a Palazzo Chigi che pressava per ridurre i tempi, la Difesa non ha potuto fare altro che correre: troviamo così affidamenti senza gara del valore anche di 10 milioni. Quali aziende? Impossibile saperlo. Una cifra nettamente sopra la soglia oltre la quale la legge imporrebbe una gara con tutti i crismi.

Sull’identità delle ditte coinvolte, italiane e albanesi, sappiamo che nei cantieri di Gjader e Shengjin ha lavorato manovalanza sia locale sia kossovara. Sulle aziende, gli uffici del ministero della Difesa, hanno specificato che «l’unico operatore economico selezionato con sede in Albania è la Ditta Everest Shpk, a cui sono stati affidati lavori relativi alle opere edili ed agli impianti ordinari».

Dal ministero assicurano che i controlli sono stati fatti e che «la scelta di tale operatore economico è stata effettuata esclusivamente sulla base delle referenze circa le dimensioni, la solidità economico finanziaria, le capacità d’impiego e l’affidabilità nell’esecuzione delle opere».

Tuttavia ciò che non è possibile conoscere sono i subappaltatori usati dall’azienda Everest e dalle altre imprese affidatarie dei milioni del governo italiano. Su quello non c’è alcun obbligo di pubblicità ed è difficile immaginare che Everest abbia gestito tutte le lavorazioni con le proprie maestranze. C’è poi un altro elemento, forse oscuro pure alla Difesa: da quanto risulta a Domani, la società Everest è di proprietà di due facoltosi imprenditori di Tirana, che negli anni avuto buone relazioni con il partito del premier Rama.

Alcuni articoli di stampa, poi, li citano in vicende opache di appalti pubblici e relazioni con la politica locale. Sono peraltro coinvolti in un progetto che ha fatto molto discutere a Durazzo, denominato “Veliera”. Hanno, inoltre, rapporti con il sindaco della capitale, Erion Veliaj. Sul web c’è traccia di fotografie del primo cittadino assieme ai proprietari di Everest, con post che lodano l’azienda che fattura milioni, leader nel settore dell’alluminio.

«Everest, una storia di successo, sono orgoglioso di voi», scriveva Veliaj nel marzo 2021. Il sindaco è un fedelissimo del premier socialista Rama, che lo ha difeso anche di fronte all’ultimo scandalo di corruzione e appalti pubblici che ha terremotato il comune e ha sfiorato il primo cittadino, senza tuttavia essere indagato.

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Il carcere interno

«I centri in Albania sono analoghi a quelli fatti sul territorio nazionale, sono di trattenimento leggero, non c’è filo spinato, c’è assistenza», ha detto il ministro Matteo Piantedosi annunciando l’operatività delle strutture. Viene da chiedersi se Piantedosi conosca davvero il progetto. Perché è vero che non c’è filo spinato, ma le alte mura di acciaio e ferro poco si addicono al «trattenimento leggero» del ministro. E cozza con il carcere realizzato all’interno, tra i moduli abitativi, che può contenere fino a 20 migranti. Per realizzarlo e gestirlo sono stati investiti diversi milioni, come emerge dai contratti letti da Domani.

Strutture che i progettisti del ministero o chi ha ottenuto l’appalto hanno deciso di colorare di azzurro pastello. Iniziativa di dubbio gusto in quel grigio circostante di ferro e moduli prefabbricati che danno al centro di Gjader la parvenza di un lager. Ma tornando ai costi: gli agenti di polizia penitenziaria, al loro stipendio aggiungeranno circa 4mila euro, e vitto, alloggio e tutti i trasferimenti. In Albania dovrebbero esserci due agenti per detenuto.

Non è finita qua: in base ai documenti ottenuti, per i «servizi di collaudo e manutenzione di apparecchiature mediche» destinate al carcere, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha chiuso un contratto da 42mila euro con la Hospital Consulting spa, che fa capo a un colosso della sanità tedesca.

Si aggiunge una spesa di quasi 2mila euro per la fornitura di materiali di ferramenta. Ma la spesa che colpisce di più è quella per il servizio medico e infermieristico destinato esclusivamente all’istituto detentivo, aggiudicato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Con la solita giustificazione della «ristrettezza» dei tempi «con cui il servizio sanitario deve essere garantito presso l’Istituto penitenziario di Gjader», il governo ha bypassato la procedura aperta prevista dal codice degli appalti: un servizio fissato a oltre 2 milioni di euro, rinnovabile per altri 24 mesi per 4,2 milioni. Che si aggiungono agli oltre 60 milioni di affidamenti senza gara complessivi già svelati da Domani. Una campagna d’Albania che le casse pubbliche e i contribuenti italiani ricorderanno a lungo.

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