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Inchiesta Hydra, il Riesame dà ragione alla Procura: “A Milano esiste un consorzio delle mafie in un’unica associazione” #adessonews

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In Lombardia esiste un nuovo sistema mafioso composto da esponenti apicali di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra romana. Un autentico consorzio che si muove e si è mosso con le modalità classiche di una associazione mafiosa. Consorzio la cui entità e presenza era già stata raccontata da diversi pentiti che lo radicavano con la testa a Milano e braccia e gambe in tutta Italia. Non solo per estorcere, ma anche e soprattutto per infiltrarsi nell’economia lombarda attraverso vari settori: dalla sanità all’edilizia, dalla logistica alla politica. Questo ha sentenziato oggi il Tribunale del Riesame cui lo scorso ottobre la Procura aveva fatto appello e rinnovato la richiesta di custodia cautelare in carcere per 79 indagati – che ora rischiano il carcere – dopo che il gip Tommaso Perna un anno fa aveva rigettato 142 istanze di misura cautelare su 153, bocciando l’intero impianto dell’inchiesta Hydra costruito in tre anni di lavoro dal pm Alessandra Cerreti e dai carabinieri del Nucleo investigativo diretti dal colonnello Antonio Coppola sul “consorzio” delle tre mafie – Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta – ribattezzato “sistema mafioso lombardo”.

Il collegio del Riesame di Milano ha ritenuto “ampiamente dimostrato che il sodalizio contestato abbia fatto effettivo, concreto, attuale e percepibile uso – anche con metodi violenti o minacciosi – della forza di intimidazione nella commissione di delitti come nella acquisizione del controllo e gestione di attività economiche, che sono propriamente gli ambiti di attività che, secondo il parametro normativo, tipizzano la natura mafiosa del gruppo”. L’esito è stato comunicato in una nota dal presidente del tribunale di Milano Fabio Roia: il sodalizio “partecipato (a vari livelli) da soggetti di diversa provenienza mafiosa e con un ambito operativo si connota indubbiamente in termini mafiosi” per il collegio del Riesame. In sintesi “si può ritenere che singoli soggetti anche appartenenti alle mafie cosiddette storiche abbiano costituito una associazione di stampo mafioso non configurabile però né come una confederazione di mafie, né come una ‘supermafia’ avendo trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza”.

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Per 56 soggetti tutti coinvolti nel capo 1 dell’ordinanza dunque il Riesame ha confermato l’associazione mafiosa. Tra loro esponenti di spicco di Cosa nostra palermitana come i fratelli Giuseppe e Stefano Fidanzati e anche figure di collegamento con la mafia trapanese e di Castelvetrano in contatto diretto con Matteo Messina Denaro come il boss Errante Paolo Parrino residente ad Abbiategrasso. Oltre a loro rappresentanti della ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo, oltre alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo e i Romeo Staccu di San Luca. Senza contare la parte romana rappresentata dalla famiglia Senese coordinata dal boss Michele detto o Pazzo, mentre è il figlio Vincenzo a essere indagato per mafia e appartenente al Consorzio nell’inchiesta di Milano.

Secondo l’impianto della Procura, accolto in pieno dal Riesame, “l’operatività del sistema mafioso lombardo veniva decisa congiuntamente dalle tre componenti mafiose nel corso di diversi summit”. Non solo. Il Consorzio mafioso “avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva nel territorio delle città di Milano, Varese e zone limitrofe, aveva lo scopo di commettere diversi gravi delitti”. Che vanno dalle estorsioni, al traffico di droga e armi, ma anche gravissimi reati fiscali. Inoltre il consorzio “imponeva il versamento di somme di denaro nella cassa comune, destinate al sostentamento dei detenuti di ciascuna componente e pretese quale corrispettivo per l’assegnazione e/o agevolazione nella assegnazione di affari leciti o illeciti, in virtù della forza di intimidazione dell’intera associazione”.

Intercettati, i partecipi al sistema spiegavano: “I soldi servono per i carcerati, quando viene Ale (…) i soldi li ho presi io, perché? Per i carcerati!”. Inoltre, secondo la Procura, il Consorzio “manteneva contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario, in modo da ottenerne favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti, rete di relazioni, tutti in grado di fornire un contributo rilevante al mantenimento in vita, al rafforzamento dell’ organizzazione e ad aumentarne il prestigio”. Dirà il boss Santo Crea: “Ci sono tutti i miei parenti, adesso maschi e femmine, abbiamo un bel pacchetto voti, perché posso portare o Senatori in Europa, miei parenti”. Risponderà il figlio Filippo: “Poi abbiamo preso un partito, una lista civica.. perché di solito partono le liste civiche”. Resterà nella storia della mafia non solo lombarda questa intercettazione: “Asse non asse (…) costruiremo tutto (…) sempre dove con i proventi di Milano, Milano (…) con i proventi di Roma, Roma (…) con i proventi di Calabria, Calabria (…) con i proventi di Sicilia, Sicilia (…) certo così noi sul territorio non abbiamo discordanze (…) tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma (…) abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano (…)passando dalla Calabria da Napoli ovunque”.

Ora dopo tre anni di lavoro da parte dei carabinieri e della Procura una nuova prospettiva avanza, una nuova lettura di come oggi cambia ed è cambiata la mafia. A partire da Milano, il vero centro di ogni affare.

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