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Se la stampa internazionale, anche quella di area progressista, concede cauti riconoscimenti a Giorgia Meloni, la stampa nazionale insegue invece la cronaca degli inciampi quotidiani, tra scandali o presunti tali. Non un grande spettacolo, va detto. La responsabilità tuttavia non è imputabile ai quotidiani né ai cronisti che fanno le inchieste, la questione sullo sfondo riguarda il senso di responsabilità di una classe dirigente chiamata a “fare la storia”, con una donna che in effetti la storia l’ha fatta.
Giorgia Meloni è la prima donna ad essere entrata a Palazzo Chigi non da gregaria ma nelle vesti di Presidente del Consiglio dei ministri. Una prima assoluta, un record italiano che per una volta ha battuto sul tempo gli Stati Uniti (che una presidente donna, ad oggi, l’hanno avuta soltanto in “House of cards”). Meloni ha fondato un piccolo partito che, sotto la sua guida, ha più che decuplicato il consenso, da due anni la leader della destra italiana ed europea è a capo di un governo che ha tenuto la barra dritta sul rigore finanziario (la terza manovra, da approvarsi entro il 31 dicembre, conferma la prudenza nella gestione dei conti pubblici), sull’atlantismo (con l’appoggio incondizionato all’Ucraina e il rapporto speciale con un presidente di segno politico opposto) e sul ruolo dell’Italia in Europa (con l’intesa speciale con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen). A sentire gli uccelli del malaugurio, l’avvento al potere della destra avrebbe sfasciato il Paese. Non è accaduto.
In pochi giorni, due testate prestigiose come l’Economist e Le Monde hanno tessuto l’elogio della presidente Meloni. Il quotidiano della sinistra francese, in prima pagina, ha esaltato la leader che, “venuta dai margini post-fascisti, in due anni ha consolidato il suo potere e rafforzato i legami con i conservatori europei”, riuscendo a “imporsi a Roma come a Bruxelles”. Il settimanale britannico invece ha scritto che Meloni sarebbe “l’orgoglio di Machiavelli”, una maestra di pragmatismo che, a ventiquattro mesi dall’insediamento, gode ancora di un consenso superiore al 40 percento, il doppio di quello del presidente francese Macron e del cancelliere tedesco Scholz. Secondo l’Economist, un punto di forza di Meloni è, senza dubbio, la debolezza dell’opposizione spaccata al suo interno ma ciò non basta a spiegare l’onda che innalza la leader italiana al di sopra degli omologhi europei. A Meloni la testata inglese riconosce le “skills di un funambolo politico e diplomatico”, capace di far crescere, seppur di poco, l’economia e l’occupazione (pur senza risolvere i nodi strutturali del sistema economico) e di manovrare abilmente i fili in Europa in modo da smarcarsi dall’appoggio a von der Leyen (insieme alle destre euroscettiche) ottenendo, ugualmente, la designazione di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione. Un capolavoro machiavellico, appunto. L’Economist si sofferma anche sulla riforma del premierato, che rallenta e di questo passo non sarà oggetto di referendum fino a fine legislatura nel 2027, e sulla introduzione del reato di maternità surrogata all’estero (una questione che riguarda poche persone che con ogni probabilità non voterebbero in ogni caso Fdi). Le “guerre culturali” rispondono all’esigenza di rimarcare una identità politica, in un quadro di gestione della cosa pubblica improntata al pragmatismo. Quest’anno le entrate fiscali superano le previsioni, l’occupazione è a livelli record, gli analisti non sono preoccupati e, pochi giorni fa, Fitch ha confermato il rating dell’Italia con un outlook in miglioramento da “stabile” a “positivo”.
Ora, a fronte di questa performance, i giornali italiani, anziché raccontare ciò che il governo fa, si trovano a dover gestire il terzo caso di dimissioni al ministero della Cultura in cinquanta giorni. Le cronache non encomiabili sulle molteplici vicende giudiziarie di un ministro in carica. Le uscite “pirotecniche” di taluni parlamentari che si esprimono, pubblicamente e nelle chat, come se fossero ancora una congrega di accoliti e non il principale partito di governo. Si può solo immaginare lo sconforto che talvolta prenderà il presidente Meloni davanti a certe intemerate o a certe uscite scomposte. Anche di recente, Meloni ha accennato ai sacrifici che deve affrontare. La vita di un premier è fatta di rinunce e abnegazione. E tuttavia, le sfide davanti a noi sono tali e tante che richiederebbero una maggiore prudenza nelle parole e una maggiore avvedutezza nelle azioni, soprattutto da parte di chi ricopre incarichi di primo piano a ogni livello. Il nostro suggerimento è: dedicatevi alle cose da fare per l’Italia, soltanto così potrete togliere ogni argomento a chi punta a disfare.
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