Mentre il ministero dell’Economia si affanna a diffondere stime sul presunto aumento degli stipendi grazie alla manovra, diverse simulazioni sugli effetti della legge di bilancio dicono esattamente il contrario. Da gennaio 2025 le buste paga di una parte degli italiani subiranno una riduzione, seppur piccola, ma pur sempre una riduzione. E questo avviene dopo anni in cui i salari reali hanno perso potere d’acquisto. Il nuovo sistema dei bonus, che sostituirà il taglio del cuneo contributivo adoperato negli ultimi tre anni, penalizzerà infatti le persone che hanno un reddito da lavoro dipendente sotto i 35mila euro annui. Ci perderanno qualche euro al mese, non di più, ma resta la beffa di una manovra che spunta gli stipendi anziché aumentarli e la smentita di quanto assicurato dal governo e in particolare dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Ipotizziamo una persona che risiede a Roma, vive solo del proprio lavoro e guadagna 20mila euro lordi all’anno. Secondo l’elaborazione del Fatto, nel 2024 il suo vantaggio grazie alle regole vigenti – il taglio dei contributi – è pari a 913 euro. Con il bonus previsto dalla legge di bilancio 2025, invece, scenderà a 871,78 euro. Oltre 40 euro annui in meno. La perdita per un reddito da 24mila euro arriverà a oltre 95 euro annui. Se immaginiamo un reddito da 34.999 euro, quindi un valore “soglia”, la perdita sarà di oltre 17 euro al mese. Questi calcoli, tra l’altro, riguardano una Regione, il Lazio, con addizionali Irpef particolarmente alte. Se invece li caliamo su Regioni con Irpef locale più bassa, la perdita in busta paga che si verificherà nel 2025 sarà ancora più alta.
Il motivo è che cambia il criterio di calcolo. Fino a fine anno, lo sconto si applica ai contributi previdenziali dovuti dal lavoratore. In sostanza, i redditi fino a 25mila euro pagano il 2,19% (3,19% per i redditi fino a 35mila euro) invece dell’aliquota standard del 9,19%. Dal 2025, torneranno a pagare il 9,19%. A compensazione riceveranno un bonus che è parametrato al loro reddito. Tuttavia, come detto, la somma dà un segno meno e gli stipendi subiranno un lieve abbassamento. In pratica, il nuovo beneficio sarà pari al 7,1% del reddito per chi dichiara meno di 8.500 euro, il 5,3% nella fascia tra 8.500 e 15 mila euro, il 4,8% tra 15 mila e 20 mila euro.
Tra 20mila e 32mila euro il bonus diventa fisso, pari a mille euro; tra i 32mila euro e i 40mila euro viene calcolato con una complessa equazione. Considerando che finora il taglio al cuneo contributivo ha riguardato solo i redditi fino a 35mila euro, gli unici a guadagnarci in busta paga da questa operazione sono i redditi tra i 35 e i 40mila euro. Ma attenzione: se hanno altre entrate – per esempio per case in affitto o collaborazioni occasionali – e questo li porta a scavallare i 40mila euro di reddito complessivo, non avranno alcun beneficio. Le stime sono confermate dallo studio di tributaristi Timpone, le cui simulazioni sono state pubblicate dalla Stampa.
Un’ulteriore conferma della leggera penalizzazione nelle buste paga dei lavoratori con meno di 35mila euro annui arriva da simulazioni effettuate in queste ore da esperti di ambienti sindacali. Nelle tabelle che circolano si parla di perdite in busta paga che, al lordo delle addizionali regionali e comunali, variano – a seconda delle fasce di reddito – tra gli 80 a oltre 100 euro annui. Ancora, anche un approfondimento di Altroconsumo calcola una lieve perdita in busta paga praticamente per tutte le fasce di reddito sotto i 35mila euro. In pratica, abbiamo almeno quattro simulazioni diverse, effettuate da enti e professionisti diversi, che smentiscono le stime fatte circolare dal governo – e pubblicate dal Corriere della Sera – che sommano anche l’effetto dell’Irpef a tre aliquote, già in vigore, e trovano una lieve crescita delle buste paga anche sotto i 35mila euro.
La sostituzione della decontribuzione con un bonus fiscale parte in realtà da un fine condivisibile: lo sconto contributivo creava un problema di minori entrate all’Inps e costringeva a fiscalizzare le mancate entrate, cioè farle pagare a tutti i contribuenti. Quindi ritoccare le norme era necessario. Il problema è che il governo finisce per tagliuzzare le buste paga dei lavoratori a basso reddito e lo fa in un momento in cui l’inflazione, seppure con una marcia inferiore a quella degli scorsi anni, renderebbe al contrario necessario un aumento dei salari nominali, che nell’ultimo triennio sono stati corrosi da una pesante perdita di potere d’acquisto.
“Siamo al terzo anno di fila in cui l’esecutivo vende come nuovo sostegno ai lavoratori ciò che nuovo non è affatto – commenta dalla Cgil il segretario confederale Christian Ferrari -; è invece la conferma della vecchia decontribuzione, che è stata semplicemente fiscalizzata. Servirebbe ben altro per recuperare la brutale perdita del potere di acquisto che hanno subito i salari: nel triennio 2021/2023 l’inflazione cumulata ha raggiunto il 17,3%”. Non solo: “I 12,8 miliardi di euro stanziati nella manovra di bilancio saranno largamente coperti dal maggior gettito Irpef pagato, attraverso il meccanismo del drenaggio fiscale, da lavoratori e pensionati, che a fine anno raggiungerà almeno 15 miliardi”. Fatti i conti, “la stragrande maggioranza di lavoratrici e lavoratori non vedrà un solo euro in più in busta paga rispetto al 2024, anzi, secondo i calcoli effettuati da più parti, molti perderanno addirittura qualcosa. A tutto questo aggiungiamo i tagli drammatici al welfare universalistico e ai servizi pubblici, che un tempo chiamavamo salario indiretto o sociale”.
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