La comunità ultracinquantennale nata da un’idea di don Enzo Boschetti: «Ci servono risposte più tempestive»
C’è Andrea, arrivato quando aveva 14 anni. Sono passati otto mesi ed è inserito nel progetto della manutenzione del verde, oltre ad essersi scoperto talento naturale per l’arrampicata. Dice di star bene, finalmente, nonostante la fatica iniziale. Nonostante prima uscisse di casa per non sentire i genitori litigare, fino a prendere la cattiva strada. Oppure Dylan: quattro anni fa era nel boschetto di Rogoredo, il suo unico obiettivo era riuscire a procurarsi la droga. La dipendenza lo ha portato in ospedale. È lì che ha deciso di chiedere aiuto a Simone Feder, educatore e psicologo. Adesso ha trovato «la voglia di vivere, di lavorare e di avere un obiettivo riuscendo finalmente a sentirmi di nuovo qualcuno. Non solo una persona ai margini della società».
Di ragazzi e ragazze che vivevano in una situazione di profondo disagio sociale, Feder ne ha salvati tanti. È il coordinatore della Casa del giovane di Pavia, comunità dalla storia ultracinquantennale nata da un’idea di don Enzo Boschetti, che ora la Chiesa definisce «venerabile». Nei giorni scorsi è stata visitata anche dalla delegazione che accompagnava Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega in materia di politiche antidroga. In quell’occasione, Feder ha illustrato le urgenze: serve una presa in carico immediata dei giovani problematici. L’esempio è lapidario: «Giorni fa ero nel bosco di Rogoredo perché una mamma mi ha chiesto di andare a prendere sua figlia, tossicodipendente. Anche se la agganci e la porti via, l’attesa per la presa in carico a Milano è di tre mesi. Troppi. C’è bisogno di risposte tempestive». L’altro problema è l’età, che si abbassa sempre di più. I posti sono quindici, sempre pieni. Sono entrati da poco tre ragazzi di 14 anni.
«Costruire una comunità educante – aggiunge Feder – è oggi la risposta necessaria, un contesto dove tutto il territorio si prenda cura dei ragazzi che vivono in difficoltà con proposte promozionali e di valore». «Nelle nostre strutture cerchiamo di dare ai giovani anche l’istruzione — conclude—. Abbiamo una scuola interna, grazie a una rete di professori che offrono volontariamente il loro tempo per insegnare ai ragazzi. Inoltre, dei maestri di lavoro cercano di dare loro una formazione professionale, affinché possano costruire un progetto di vita salvifico e appassionante. I cancelli sono sempre aperti, e i ragazzi restano. C’è qualcosa che li trattiene. E cos’è, se non la relazione? Il sentirsi amati, voluti bene, considerati. “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”, ricorda il Vangelo. Per noi questo significa che quei ragazzi considerati scarti devono essere visti con occhi nuovi, perché sono loro che possono diventare il fondamento di un futuro migliore per sé stessi e la società».
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