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Telegram, così l’arresto di Durov mette in crisi l’Europa digitale #adessonews

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Ha fatto scalpore la vicenda giudiziaria che, negli ultimi giorni, ha visto coinvolto Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram, noto servizio di messaggistica basato sulla crittografia, che ha preso piede negli ultimi anni quale alternativa a WhatsApp.

Ricordiamo che l’imprenditore è stato arrestato sabato 24 agosto all’aeroporto di Le Bourget e messo in custodia, a seguito di un’indagine preliminare avviata dalla Procura di Parigi.

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Le accuse

Per comprendere la portata giuridica della vicenda, occorre partire dalle contestazioni mosse a Durov. Lo stesso è stato accusato di:

  • Complicità nei seguenti reati:
    • Amministrazione di piattaforma online per consentire transazioni illecite in banda organizzata;
    • Detenzione di immagini pedopornografiche;
    • Diffusione, offerta o messa a disposizione in banda organizzata di immagini pedopornografiche;
    • Acquisto, trasporto, detenzione, offerta o cessione di sostanze stupefacenti;
    • Offerta, cessione o messa a disposizione senza motivo legittimo di un’attrezzatura, strumento, programma o dato progettato o adattato per compromettere e accedere al funzionamento di un sistema di trattamento automatizzato di dati;
    • Truffa in banda organizzata;
  • Rifiuto di comunicare, su richiesta delle autorità competenti, le informazioni o i documenti necessari per la realizzazione e l’utilizzo di intercettazioni autorizzate dalla legge;
  • Associazione a delinquere finalizzata alla commissione di crimini o reati punibili con almeno 5 anni di reclusione;
  • Riciclaggio di proventi di reati o delitti in banda organizzata;
  • Fornitura di servizi di crittografia volti ad assicurare funzioni di confidenzialità senza dichiarazione di conformità;
  • Fornitura di un mezzo di crittografia che non garantisce esclusivamente funzioni di autenticazione o di controllo dell’integrità senza dichiarazione preliminare;
  • Importazione di un mezzo di crittografia che non garantisce esclusivamente funzioni di autenticazione o di controllo dell’integrità senza dichiarazione preliminare.

I capi di imputazione formulati nei confronti di Durov non possono che suscitare qualche perplessità; vediamo perché.

Responsabilità degli intermediari e principio di neutralità

Qui cominciano i dubbi.

L’articolo 6 del Reg. UE 2065/2022 (“Digital Service Act”), che prevede l’esenzione di responsabilità per i prestatori di servizi che memorizzano informazioni su richiesta degli utenti, stabilisce un principio di neutralità operativa per gli intermediari digitali. In linea teorica, tale disposizione esonera questi ultimi da responsabilità diretta sui contenuti memorizzati, a meno che non abbiano conoscenza effettiva dell’illegalità degli stessi.

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Questo principio, tuttavia, è stato messo alla prova nel caso Telegram, dove l’accusa riguarda, tra le altre cose, la complicità nella commissione dei reati commessi dagli utenti attraverso lo strumento di messaggistica.

I capi di imputazione sollevano importanti questioni sul limite della neutralità degli intermediari. In particolare, viene messo in discussione fino a che punto un intermediario possa mantenere una posizione di neutralità tecnica e operativa quando è a conoscenza, o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza, dell’utilizzo illecito della propria piattaforma.

Assenza di obblighi generali di sorveglianza

A quanto sopra, si aggiunga che l’articolo 8, che esclude qualsiasi obbligo generale di sorveglianza per i prestatori di servizi intermediari, riflette un principio cardine della regolamentazione europea. Questo principio, pensato per tutelare la libertà di impresa e prevenire una sorveglianza indiscriminata, sembra però entrare in contrasto con le esigenze di sicurezza pubblica e protezione dei diritti fondamentali, come la tutela dei minori e la prevenzione del crimine.

Nel caso di Telegram, l’accusa che grava su Durov sembra sfidare proprio questo principio, suggerendo che in alcuni contesti, come quello della criminalità organizzata, potrebbe essere necessario un approccio più attivo da parte degli intermediari. La normativa attuale, pur escludendo obblighi di sorveglianza preventiva, non preclude, tuttavia, che le autorità giudiziarie o amministrative possano esigere interventi specifici per prevenire o porre fine a violazioni gravi, come nel caso in esame.

La posizione della commissione europea

Non a caso la commissione europea si è espressa in questi termini su Telegram. 

“L’azione penale non rientra tra le potenziali sanzioni per una violazione del DSA. Il DSA non definisce cosa sia illegale né stabilisce alcun reato penale e non può quindi essere invocato per gli arresti. Solo le leggi nazionali [o internazionali] che definiscono un reato penale possono essere invocate”, ha dichiarato il portavoce.

“Stiamo monitorando da vicino gli sviluppi relativi a Telegram e siamo pronti a collaborare con le autorità francesi qualora fosse necessario”, ha aggiunto la Commissione.

 

Conclusioni

La vicenda giudiziaria che ha coinvolto Pavel Durov mette in luce un potenziale limite della normativa europea, la quale, sebbene promulgata con il fine generale di armonizzare gli ordinamenti giuridici dei diversi Stati Membri in ambiti strategici, al fine di favorire la circolazione di dati e informazioni, sembra non possa, tuttavia, superare alcuni ambiti giuridici tipicamente “locali”, quale è ad esempio la normativa penale.

Tale circostanza, sebbene comprensibile, rischia di vanificare lo sforzo europeo di creare uno spazio unico e uniforme, atto a favorire e incentivare la libera circolazione dei dati e attirare investimenti nello spazio economico europeo.

 



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