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Un’altra recente espressione impiegata a fini di mantecatura è “rimodulare”. Non aggraviamo le accise, né ne aggiungiamo di nuove: rimoduliamo quelle esistenti. Quando te lo dicono, non puoi domandare se così dovrai pagare di più o no il pieno di gasolio (o qualsiasi altro oggetto di rimodulazione): non faresti che testimoniare come il tuo animo sia gretto e novecentesco. Era quello scorso, che ti ricordo apparteneva a tutto un altro millennio, il secolo in cui valeva la dinamica: “prezzo che sale, prezzo che scende”. Nel Duemila la rimodulazione è un dolce colpetto di cloche: planare o cabrare, l’importante è volare. Ecco, volatilità è la parola che dà il giusto senso di effimero. Stiamo così alternando due campi analogici, la cucina e il volo.
Proviamo a fare ordine. Ci sono parole mantecanti, che addolciscono, amalgamano e rendono pastoso qualsiasi discorso, privandolo di ogni asperità. Una delle tecniche per mantecare è quella che richiede di far saltare gli spaghetti nella padella in cui li si sta condendo, in modo che nella loro massa si trovi incorporata dell’aria. Un discorso mantecato contiene pure molta aria, si gonfia senza con ciò prendere maggiore consistenza. All’opposizione si dirà: “Vergogna, le accise”. In campagna elettorale: “Aboliremo le accise”. Al governo: “Rimoduliamo le accise”. Vedete che è entrata dell’aria nel composto? Alla fine le ricette per la comunicazione contemporanea non sono né ardue né complesse: enfasi in attacco, mantecatura in difesa.
Alla dimensione del volo si arriva poiché per il solito a proposito di prezzi e imposte si ha una concezione verticale: salgono o scendono, aumentano o diminuiscono. La mantecatura consisterà dunque nello spostare questa dinamica sull’asse orizzontale e mostrare che si tratta di normali evoluzioni, volendo anche nel senso aereo e acrobatico del termine. Intanto si toglie materia, si va nell’astratto. Salire e scendere sono ancora attività fisiche, le eseguiamo o commisuriamo con il corpo. “Modulare” e “rimodulare” sono invece attività scorporate. Possono riguardare la voce, il canto e la recitazione: variazioni del tono e magari della tonalità.
Possono riguardare anche la lingua: se un rimprovero appare troppo brusco è saggio rimodularlo in modo che sia meno sgradevole, anche se poi la sostanza è quella. Quindi la smentita (non aumentiamo le accise, le rimoduliamo) promette un intervento lieve, pressoché inavvertibile, di quelli che in precedenza venivano mantecati con il ricorso a parole come “ritocco” o ” aggiustamento”, di cui la “rimodulazione” è un netto miglioramento evolutivo. Non ci si accorge quasi più neanche della sua derivazione da “modulo”, uno dei pilastri della comunicazione burocratica, glorificato dal grande Marcello Marchesi che definiva così la burocrazia stessa: “Est modulus in rebus”.
Questa è Lapsus del 13 ottobre 2024, la rubrica di Stefano Bartezzaghi sulle parole del momento
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