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Il Consiglio di Stato, sezione IV, nella sentenza n. 7740 del 24 settembre 2024, ha precisato che il certificato di agibilità presuppone che l’immobile sia conforme non solo alle prescrizioni igienico-sanitarie, ma anche al titolo che ne ha consentito la costruzione o la trasformazione.
Certificato di agibilità e regolarità urbanistico-edilizia
Il caso trattato riguarda l’annullamento del provvedimento di trasferimento di una rivendita di tabacchi, sancito da una sentenza che accoglieva parzialmente il ricorso proposto da un altro esercente. Il provvedimento era motivato dall’assenza di idonea documentazione attestante la regolarità urbanistico-edilizia del locale proposto, nonché la relativa destinazione d’uso commerciale, prevista dall’art. 11, comma 3, dm 38/2013, che disciplina il procedimento di trasferimento di rivendite ordinarie.
Secondo i giudici di primo grado, il certificato di agibilità, l’unico documento prodotto dalla parte che ha chiesto il trasferimento attiene unicamente agli aspetti della conformità dell’opera ai profili tecnici e igienico-sanitari, non avendo riguardo ai profili più strettamente urbanistici.
I due appelli e il giudizio del Consiglio di Stato
L’appellante sosteneva di aver prodotto la documentazione che gli era stata richiesta dall’ufficio, il certificato di agibilità appunto, che faceva riferimento anche al titolo urbanistico in base al quale l’immobile era stato realizzato ed alla sua destinazione commerciale.
Anche l’Agenzia delle dogane e dei monopoli si era costituita in giudizio per aderire all’appello proposto presentando appello incidentale per l’erronea applicazione dell’art. 11, comma 3, dm 38/2013.
Il Consiglio di Stato ha accolto entrambi gli appelli, precisando che “Non è corretto affermare che il certificato di agibilità di un immobile non offra la prova che il bene è regolare sotto un profilo urbanistico ed edilizio; il Comune non potrebbe rilasciare un certificato di agibilità che presuppone la salubrità dell’immobile se vi fosse un’illegittimità sul piano edilizio“.
Nel certificato di agibilità prodotto dall’appellante si dava atto dell’accatastamento dell’immobile, della conformità alle norme vigenti ai sensi dell’art. 20 dpr 380/2001, della conformità dell’opera al progetto approvato e persino la conformità degli impianti.
Pertanto l’immobile locato aveva tutte le caratteristiche per consentire l’ingresso dell’attività commerciale dell’appellante, come attestato nella parte finale della certificazione.
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