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«Tea e Ogm concetti diversi e tecnologie differenti» #adessonews

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Tea

Parla la premio Nobel per la Chimica Emmanuelle Charpentier. L’autorevole parere della biochimica e genetista francese che ha ricevuto la laurea ad honorem dall’Università degli Studi di Bologna

«In questo strumento c’è un potenziale enorme che ci riguarda tutti. Non solo ha rivoluzionato la scienza di base, ma ha permesso di ottenere colture innovative e ci porterà a nuovi trattamenti medici d’avanguardia». Furono queste le motivazioni di Claes Gustafsson, a capo del comitato Nobel per la Chimica nel 2020, per l’assegnazione del premio a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, due ricercatrici che misero a punto la tecnica Crispr/Cas9, le “forbici molecolari” che hanno rivoluzionato l’editing del genoma, trasformandolo in una procedura rapida ed economica, aprendo la strada alle Tea.

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Emmanuelle Charpentier è stata recentemente insignita della laurea ad honorem da parte dell’Università degli Studi di Bologna, occasione in cui abbiamo avuto il privilegio di incontrarla per porle alcune domande.

Molta gente pensa che Ogm e organismi ottenuti tramite le Tea (Tecniche di Evoluzione Assistita) siano la stessa cosa. Qual è il suo punto di vista?

«È una questione di terminologia, mettiamola così. Se sei un biologo o un genetista, potresti sostenere che le piante in natura sono organismi geneticamente modificati. Perché si modificano geneticamente da sole ogni minuto e tutto il genoma è in continua mutazione. Ora, il termine ogm è utilizzato per le piante che sono state modificate geneticamente in modo artificiale dall’uomo, usando tecnologie che introducono un Dna estraneo, dopo di che sono state seguite molte altre terminologie, ma io credo che la gente comune non sia consapevole che il miglioramento genetico naturale conduce a piante che sono anch’esse geneticamente modificate, anzi spesso modificate anche di più rispetto agli ogm ottenuti dall’uomo.

Quando, infatti, intervieni sulle piante con il miglioramento genetico tradizionale, sono tante le sequenze di Dna che si mischiano, per cui alla fine ti ritrovi con un genoma che è molto differente dall’originale, mentre un biologo tramite la Crispr fa qualcosa di molto specifico e sa che cosa esattamente è stato mutato. Cinquanta o sessanta anni fa non potevamo sequenziare l’intero genoma della pianta, oggi invece sì, e soprattutto è possibile verificare la precisione della tecnologia. Proprio questa precisione genetica potrebbe generare una pianta esattamente nel modo in cui potrebbe capitare in natura.

Se ben spiegata, credo che la gente comune capirà che si tratta di una tecnologia positiva, che consentirebbe, senza l’introduzione di un dna estraneo, di sviluppare piante che possono resistere per esempio ai cambiamenti climatici che sempre più in futuro dovremo affrontare. Insomma,  ritengo che la gente sia a favore di questa tecnologia».

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Intervista pubblicata sulla rubrica Attualità di Terra e Vita

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Il punto è proprio questo: come possiamo spiegare alla gente comune con un linguaggio semplice e comprensibile che le Tea non sono una tecnologia “cattiva”?

«Si dovrebbe trovare un’analogia con qualcosa che possano capire, un esempio a cui possano riferirsi di qualcosa che viene modificato con l’aggiunta di un pezzo estraneo e di qualcosa che invece viene modificato senza l’introduzione di un pezzo estraneo, che mostri che è diverso in un certo senso, anche se quello che pensano è che sia la stessa cosa. Non ho un’analogia in mente in questo momento, però so che in Italia non si possono coltivare Ogm, ma gli animali vengono allevati con mangimi ottenuti anche da piante ogm importati dall’estero (Sudamerica, Spagna…) e questo è un controsenso. Un paio di anni fa parlando con il capo della  più grande associazione di agricoltori in Francia, mi diceva che gli agricoltori sono aperti a questa nuova tecnologia.

Se non sbaglio per decenni, se non secoli, sono stati loro stessi dei genetisti, facendo miglioramento genetico senza saperlo, e ora hanno un problema se devono farlo in laboratorio, perché di sicuro non possono disporre di un laboratorio e quindi dovrebbero appaltare il lavoro. Il problema sta più nella regolamentazione in Europa e nell’aspetto economico della questione, perché c’è un brevetto e quindi ci sono persone che ci guadagnano, mentre tu vorresti semplicemente che fossero gli agricoltori a guadagnarci. Noi biologi pensiamo alle piante che loro vorrebbero coltivare e loro ce l’hanno a disposizione gratuitamente. Forse è un po’ naif o semplicistico come ragionamento, ma è il mio punto di vista».

Pensa che queste nuove tecniche siano utili in particolare per l’agricoltura biologica?

«Un agricoltore biologico potrebbe, come noi facevano in passato, migliorare le piante e avere un interesse in questa tecnologia per esempio per riprodurre specie che esistevano in passato. Non perché uno deve produrre cose del passato, ma perché è qualcosa che si adatta meglio al terreno, all’ambiente, e che consente quindi di ottenre fare piante “su misura” per quel sito specifico, per quel clima specifico. Quando ci ho lavorato, io effettivamente pensavo che questa tecnologia sarebbe stata usata in medicina per operazioni su misura per certi tipi di malattie, insomma personalizzata, anche se non so se è la parola giusta».

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Questa nuova tecnologia ha dei limiti?

«Sì, ha dei limiti nel senso che a volte vorresti modificare un certo sito o una certa lettera del codice del Dna e non è possibile farlo, perché questa tecnologia ha dei limiti nel suo modo intrinseco di essere, quindi magari si vorrebbero cambiare alcune lettere, ma per quanto lo strumento sia versatile non ci si riesce. Diciamo che questo ha a che fare con la genetica, nel senso che a volte c’è un sito nel Dna che non può essere facilmente modificato perché è un tratto che ha una certa struttura che è refrattaria a qualsiasi cambiamento (e sarebbe refrattaria anche per un cambiamento effettuato attraverso il miglioramento genetico tradizionale), insomma ci sono sempre dei limiti alla tecnologia genetica.

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Il grande beneficio che vedo in qualsiasi tecnologia oggi è che alla fine del processo puoi verificare quello che è stato modificato, per lo meno a livello di Dna, perché si può sequenziare l’intero genoma della pianta, leggerlo e sapere esattamente cosa è stato cambiato. Io non sono una biologa vegetale, ma come ho detto le piante modificano costantemente il loro genoma, questo è ciò che le piante sono e quello che è naturale è naturale. La parola naturale è sotto la comprensione che ci sono anche delle modifiche genetiche naturali che si verificano costantemente, questo è il punto. E la regolamentazione dovrebbe essere fatta secondo la tecnologia, non il contrario, anche se è ovvio che la tecnologia può essere usata bene o male».





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